mercoledì 14 agosto 2013

Lisa dagli occhi boh.

Mamma, cos'è questa canzone bizzarra?
Amore, non è bizzarra. Bizzarra in che senso?
Ma non l'hai inventata tu?
Ma ti pare.
Allora da dove viene?
Dalla fine degli anni '60, amore, dalla tivù in bianco e nero. La cantava un signore con una bellissima voce un po' all'antica che si chiama Mario Tessuto. Pensa che lo zio Ing. quando era ragazzo aveva un duo musicale col suo migliore amico e si chiamavano "I Fratelli Tessuto."
Allora non l'hai inventata tu.
No. Però mi piace, e la canto. C'è un video molto bello della tivù in bianco e nero in cui lui entra in scena presentato da Johnny Dorelli...
Johnny CHI?!
Lascia stare. Comunque, Mario Tessuto entra in scena e si vede che è emozionato e teso, e nella ripresa poi si vede il momento esatto in cui gli arriva il primo applauso dal pubblico e lui sorride, perché capisce che è andata.
Capisce cosa?
Senti, quando siamo a casa te lo faccio vedere.
Ok.

(notare la cravatta a polka dots e il direttore che tiene il tempo con la gamba)

venerdì 9 agosto 2013

Buone ferie.

Si aggira inquieto, poi arcua le sopracciglia grigie e incolla il naso al vetro.

"Hai detto che l'avresti presa per due ore."
"Non l'ho mai detto."
"Due ore, hai detto. E' il suo ultimo giorno prima delle ferie. E' tardi. Avevi detto due ore, in prestito."

"Non l'ho mai detto."
"Poi te la ridò."
"Mai detto."
"E' l'ultimo giorno."
"Io, se te la prendo, la prendo per tutta la mattina."
"Di là abbiamo avuto tantissimo da fare."
"Non è vero."
"Tantissima gente."
"No."
"Lei ci serviva."
"Serviva qui."
"Due ore, avevi detto."
"Non l'ho mai d..."
"SCUSATE"
"..."
"..."
"CapoM e CapoV, la vostra nobile tenzone mi commuove ma non sono una tizia a ore e comunque fate più piano, che sto scansionando i cartellini delle carte d'identità e mi confondo coi numeri."

venerdì 2 agosto 2013

Non apritemi questa porta. Ossia di cose che si possono fare nelle cabine in spiaggia, sesso, secchielli, sudore e premenopausa.

L'altro giorno, e non è che io abbia una chiara memoria di come si sia arrivati a parlare di questo, dato che l'argomento in discussione tra me, CapoM e CapoV era un argomento prettamente demografico, tipo la certificabilità del primo matrimonio di chi si risposa o la questione della privacy nell'accesso ai dati anagrafici all'interno di reti condivise o la pessima abitudine che hanno alcune signore straniere quando prendono la cittadinanza italiana e, dopo aver dovuto cambiare nome per legge, lo ricambiano un altro paio di volte incasinando l'INA-SAIA e creando disallineamenti di codici fiscali a portare anatemi e carestie fino alla dodicesima generazione, inclusi i rami collaterali, quindi non ho proprio il ricordo di come si sia venuti in argomento.

Ho solo, distinta, l'immagine di CapoV, nell'ufficio di CapoM, semidisteso su una sedia accanto alla scrivania nella sua camicia di lino bianco, coi suoi jeans stirati e i mocassini scamosciati grigio pantegana, che socchiude gli occhi e fa, rivolto a CapoM:
Non hai idea delle cose che si possono fare nelle cabine.

Ora, premesso che CapoV non ha una cabina, ma si ostina a trasportare nelle borse della bici (sì, quelle ai lati della ruota posteriore, proprio quelle in cui le casalinghe attempate stipano la spesa di verdura) il telo, il costume, le ciabatte, la frutta, il giornale nonché un'enorme catena gommata con lucchetto ideata per legare uno scooter di grossa cilindrata a un palo della luce (ma perché non hai preso una cosa più maneggevole? se ti va in mezzo ai raggi t'ammazzi - Era in offerta alla Coop). Quindi delle potenzialità erotiche delle cabine al mare non dovrebbe sapere nulla.

Probabilmente lo ha detto solo per movimentare la mattina sua e di CapoM, tra un permesso di seppellimento e una carta d'identità non valida per l'espatrio.

Il punto è che io ero lì, e io ce l'ho, una cabina. Una piccola cabina con la porticina bianca e l'interno dipinto di azzurro, con tante barchette bianche. Una piccola cabina dove sembra sia esploso un negozio di giochi da spiagga, costellata di cadaveri di lettini, palette senza manico e palline rimbalzine. Una cabina in cui un archeoetnoantropologo potrebbe condurre una campagna di scavo stratigrafico e risalire alle abitudini di gioco dei primi anni '90, riportando alla luce con delicatezza i resti dei giocattoli dei cugini ormai maggiorenni dei miei figli, sepolti sotto i sacchi della mondezza condominiali che ospitano gli ultimi sgargianti prototipi di fucili a pompa idraulica e racchettoni verde lime. Una cabina in cui si riesce ad entrare in uno - massimo due alla volta, e i due in questione non devono superare il metro e quaranta d'altezza. A meno che al mare non ci siano anche i cuginetti di Reggio, nel qual caso per accedere bisogna spingere con violenza per superare la resistenza dei ciambelloni galleggianti con cui i suddetti cuginetti sono adusi a fare il bagno. Una cabina in cui si entra bagnati, sudati e pieni di sabbia e la sabbia e il sudore rimangono sul pavimento finché, a fine giornata, non arrivo io a perpetuare l'estenutante rito della Mater Matuta spazzando via la sabbia e rendendo i venti centimetri quadri calpestabili nuovamente agibili.

Una cabina che ora rientra a pieno titolo nell'elenco delle mie frustrazioni del c***o, perché oltre a sentire l'età che avanza, il tempo che scorre tra lavoro, casa e famiglia senza mai avere un momento per chiedere a Mamikazen 'Ehi, come va?', il vedere il mio corpo ancora godibile che non viene goduto per via di tutto quanto detto sopra, nella malinconica consapevolezza premenopausale che quando potrò godermelo ormai avrà miserevolmente ceduto in pieghe e rotoli supinamente devoti alla forza di gravità, a tutto questo e tanto altro che in questi giorni mi infesta ormai si aggiunge pure un pensiero ricorrente.

Il pensiero compulsivo di tutte quelle cose che si possono fare nelle cabine, e io non ho mai fatto.